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Tim Weiland: come diventare GM in uno degli hotel di lusso più ricercati al mondo

da | CONSIGLI DALL'ALTO, LASCIATI ISPIRARE

Il fulcro dell'ospitalità di fascia alta è un mix fatto di lusso, rapporti umani e infinita passione. Tim Weiland, direttore generale di Alpina Gstaad, un hotel boutique cinque stelle nel centro della Svizzera, lo sa meglio di chiunque altro.

Veterano del settore, il suo percorso professionale testimonia la sua passione e dedizione per l'ospitalità, con un’esperienza lavorativa che va dal Sudafrica alla Svizzera, dalle Maldive al Marocco. In questa intervista, ci racconta i suoi inizi di carriera e le sfide del suo ruolo.

Cosa ti ha spinto a scegliere il settore alberghiero? 

La prima persona che mi ha dato l'idea di dedicare la mia carriera all'ospitalità è stato un amico dei miei genitori, il Console svizzero che ho conosciuto in Sudafrica mentre lavoravo come cameriere per un evento presso il Consolato. A fine serata mi disse: "Sai, se ti piace questo tipo di lavoro, allora dovresti dedicarti seriamente a questo mondo. E, se vuoi lavorare nel settore alberghiero, dovresti andare in Svizzera".

Avevo circa 16-17 anni, e in quel momento mi sono detto: "Sì, credo che sia quello che devo fare!". Così sono andato in Svizzera e mi sono iscritto a EHL Hospitality Business School, ed è stata un'ottima decisione. Da lì, si sono aperte molte porte.

Come riesci a mantenere viva la passione anche dopo tanti anni di carriera?

La passione rimane accesa grazie alla diversità dei compiti e delle responsabilità e, ancora una volta, grazie ai rapporti umani. Ogni giorno è fatto di un insieme multiculturale, multilingue e variegato. 

Ogni giorno cela piccole sorprese e sfide, ogni giorno si presenta qualcosa che richiede un atteggiamento, un'attenzione o un modo diverso di relazionarsi con le persone. Si è in contatto con una tale varietà di persone e professioni diverse che non ci si annoia mai. È questo che trovo affascinante, ed è sicuramente uno di quegli aspetti che è rimasto fedele a sé stesso nel corso degli anni. 

Oggi, il nostro settore sta sperimentando una carenza di talenti e si parla molto di burnout. Come fai a non sentirti sopraffatto?

Se odi la pesca, stare seduti per ore ad aspettare che un pesce abbocchi è la cosa peggiore che tu possa immaginare nella tua vita. Ma, se la cosa ti appassiona, saprai goderti l'attesa. Lo stesso vale per il settore alberghiero.

Quindi, se mi chiedi come possiamo spingere le persone a mantenere accesa la passione, in una certa misura, credo che debba essere innata. Chi non ama stare a contatto con le persone, chi non ama l'ospitalità in generale, avrà difficoltà a rimanere nel settore.

Ma chi sente un nascente interesse può coltivarlo, e ogni giorno sarà più gratificante del precedente. E, man mano che si va avanti nella propria carriera, si sentirà che la propria passione viene ripagata, e questo sarà una spinta continua di giorno in giorno.

Ritieni che la formazione specifica sia indispensabile per chi vuole arrivare a ricoprire un ruolo di leadership?

Penso che avere una formazione in una scuola alberghiera sia un ottimo punto di partenza. Non credo che sia necessario al 100%, ma può dare una prima panoramica delle aspettative di un’attività alberghiera. 

Se il tuo percorso professionale è orientato verso la gestione generale, allora una scuola alberghiera può contribuire a tutti gli elementi aziendali di cui hai bisogno e aiutarti ad acquisire conoscenze molto preziose. Ma è sicuramente solo una base. 

Quello che ti serve davvero è un mix tra istruzione ed esperienza. Per prima cosa, è necessario avere una certa passione per ciò che si sta facendo. Poi vengono le basi educative, l'esperienza pratica e ciò che si impara man mano che si va avanti.

Quali sono state le tre lezioni più importanti che hai ricevuto nel corso della tua formazione e che ti sono servite fino a oggi?

La più importante è imparare a imparare. Bisogna essere aperti alle novità, trovare nuove informazioni ed essere in grado di distinguere tra ciò che si deve ricordare e ciò che si può dimenticare e che è già obsoleto. 

Un'altra cosa importante sono i numeri. Nessuno di noi è un genio della matematica, ma è importante capirne le applicate all’ambito alberghiero, indipendentemente dal ruolo che si ricopre. 

Il terzo punto sono i rapporti umani. La maggior parte delle scuole alberghiere si concentra molto di più sul lavoro di gruppo, sulla collaborazione, sulla fiducia nelle persone con cui si lavora.

Questo è fondamentale per il futuro, perché non esiste hotel al mondo che possa avere successo grazie a una sola persona.

Per arrivare al ruolo di Direttore Generale, hai seguito il percorso della ristorazione. Si parla sempre di come sia meglio scegliere il ramo F&B rispetto alla divisione Camere. Tu cosa consiglieresti?

Direi che ora la situazione sta cambiando. Ci sono sempre più opportunità per persone che provengono da contesti più amministrativi. Oggi molti proprietari alberghieri sono molto concentrati sulle vendite, sul marketing o sulle finanze, e preferiscono un GM che comprenda davvero bene questi aspetti.

Il grande vantaggio dei due percorsi classici, F&B e camere, è che si ha a che fare con molte persone e si gestiscono dei team, con tutte le sfide che ne conseguono. Ma non credo che ci sia una preferenza tra i due percorsi. È una questione di passione personale.

Se si è più appassionati di una cosa o dell'altra, la si farà sicuramente meglio. Quanto meglio fai qualcosa, quanto più passione dimostri, tanto più le persone se ne accorgeranno. E, quando sarà il momento giusto, ti noteranno per la prossima promozione.

Ti sei fatto le ossa in aziende e strutture extra lusso relativamente di nicchia. È stata una coincidenza o una scelta professionale deliberata?

È stata una scelta molto consapevole. Ho fatto uno stage a Disneyland Paris, è stata un'esperienza formativa e volevo lavorare in qualcosa di grande solo per vedere come funzionava. Ma, dopo quei sei mesi, ho capito che non avrei mai potuto lavorare in un hotel così grande.

Non è il mio genere. Io preferisco conoscere le persone con cui lavoro, il personale e i clienti. E in queste strutture di grandi dimensioni, in un certo senso, diventa tutto un po' anonimo. Quindi ho scelto consapevolmente di lavorare in un settore in cui è possibile mantenere questi legami umani. In cui si conoscono i nomi delle persone con cui si lavora, si riconoscono i clienti personalmente, e non dal loro codice di iscrizione al programma fedeltà. Ma ognuno ha le sue preferenze, no?

Come direttore generale, quali sono le priorità del tuo lavoro?

Assicurarmi di scegliere le persone giuste per il ruolo giusto e metterle nelle condizioni di fare al meglio ciò che sono in grado di fare. Ancora una volta, non è un risultato che si raggiunge in solitaria. È un lavoro collaborativo. È dare anche la libertà di trovare le persone giuste da inserire all'interno dei loro team.

È una gerarchia, giusto? Se do all’executive chef i mezzi giusti per assumere le persone giuste, comprare le materie prime giuste per creare le ricette che lo appassionano, allora so che quello che ci sarà nel piatto soddisferà i clienti.

Credo che questo sia l'obiettivo principale, tutto il resto è una conseguenza. Si tratta di avere le persone giuste, nel ruolo giusto, e con risorse sufficienti. Ed è così che vedo il mio ruolo: non interferire troppo. Non dovrebbe essere una microgestione. Cerco di chiedere ai vari team: "Come posso aiutarvi?".

In qualità di direttore generale, quali politiche hai messo in pratica per il benessere del personale? 

Di recente, abbiamo collaborato con una scuola alberghiera per un progetto studentesco sulla fidelizzazione del personale e sulla creazione di un ambiente di lavoro migliore e di un equilibrio tra lavoro e vita privata. Ne sono emersi molti punti interessanti.

Nessuno di questi è un concetto rivoluzionario, ma i turni spezzati erano grande motivo di frustrazione. Sono spesso considerati una perdita di tempo. Alle persone non dispiace lavorare, ma lavorare per metà giornata o per una lunga parte della giornata, poi dover tornare a casa, riposare un'ora e poi tornare al lavoro, e poi di nuovo nel pomeriggio. Tutto questo significa spostarsi quattro volte al giorno.

Un altro aspetto è quello dei pasti. Abbiamo molte persone che per scelta hanno eliminato il glutine, o sono vegetariane o vegane. Se queste richieste non possono essere soddisfatte, si crea molta insoddisfazione o frustrazione. Abbiamo quindi cercato di venire loro incontro il più possibile, in modo da far trovare a tutti il proprio pasto preferito su base giornaliera. Credo che l'alimentazione sia uno degli aspetti più importanti per mantenersi sani e felici sul lavoro. 

E, ancora, il modo in cui le persone vengono trattate in azienda è sicuramente una parte importante della salute mentale. Dovrebbe essere consentito commettere errori. È normale. Servono a imparare e migliorare. I dipendenti non dovrebbero vivere nella paura di fallire.

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