BACK TO MAIN PAGE IT

< TORNARE ALL’INIZIO

Kimberly Brock Brown: “Nessuno sogna di diventare sous-chef”

da | CONSIGLI PROFESSIONALI, DONNE PROTAGONISTE DELL'OSPITALITÀ, LASCIATI ISPIRARE

La rinomata chef Kimberly Brock Brown parla con Hosco del suo esteso ed entusiasmante percorso in cucina. Ci ha illuminato sulla scienza esatta che sta dietro la panetteria e la pasticceria, ci ha parlato dell’importanza di trovare buoni mentori per crescere professionalmente e delle sfide che ha dovuto affrontare come donna in un percorso professionale dominato dagli uomini.

“La pasticceria è una scienza, cucinare è un hobby”

Malgrado insegnanti collerici o assenti, Kimberly Brock Brown si è innamorata della pasticceria quando frequentava una scuola di cucina e non è più tornata indietro. La sua storia è la dimostrazione del fatto che, se trovi la tua passione e la segui, non ci sono limiti per la tua carriera professionale.

Perché la cucina? Cosa ti ha spinto verso questa specialità?

Ho iniziato a cucinare da piccola, perché quello era uno dei compiti assegnati ai bambini nella mia famiglia. A volte mi piaceva, altre volte no. Era ovvio che preferivo andare a giocare fuori ma, quando arrivava il mio turno di cucinare, la prendevo come una sfida e mi piaceva. Mi piaceva il fatto di creare qualcosa, e anche vedere che gli altri gradivano quello che cucinavo e chiedevano il bis!

Quando ero piccola, nella mia famiglia non ci si alzava da tavola se il piatto non era vuoto. Ed era una bella sensazione vedere che i miei familiari finivano il loro piatto e ne chiedevano ancora, era bello. Il fatto di poter cucinare qualcosa di talmente buono che chi lo mangiava chiedeva il bis, era quello che mi colpiva.

Cosa ci dici della tua prima esperienza di lavoro in una cucina professionale?

Quando andavo alle superiori lavoravo part-time al reparto gastronomia di un supermercato della catena Kmart. A quei tempi era una mezza novità, perché non era affatto comune per i negozi di quel tipo avere al loro interno un reparto gastronomia. Affettavamo salumi, infornavamo pretzel, preparavamo sandwich caldi, servivamo gelati, un po’ di tutto. È stata questa la mia prima esperienza, dietro un bancone.

Perché hai deciso di iscriverti a una scuola di cucina?

Sono cresciuta a Chicago, una città piena di ottimi ristoranti. I miei genitori ci portavano a mangiare fuori una volta o due al mese, ed è così che ho iniziato a scoprire diverse cucine ma, da piccola, non avevo mai pensato che potesse esistere un vera e propria carriera professionale legata alla preparazione dei cibi. Cercavo di capirci qualcosa, ma termini quali arti culinarie e chef mi erano completamente estranei.

Ricordo che lavoravo in un locale di Dallas quando qualcuno mi ha mostrato un articolo di giornale che parlava di un ragazzo che aveva appena completato un programma di apprendistato culinario della sezione locale della ACF, la Federazione culinaria americana. Si spiegava in dettaglio tutto quello che aveva imparato a cucinare e a preparare per diplomarsi e ottenere il titolo di cuoco certificato. 

Prima di allora non avevo mai sentito niente del genere, e dopo aver letto tutti quei particolari sul programma ho pensato: “È quello che voglio fare io!” Ho chiamato il numero della scuola che compariva nell’articolo, El Centra College, e il semestre successivo ero lì, pronta a partire.

Come ti ha cambiato la scuola di cucina da quando sei tornata degli anni ‘80?

Da allora, sono tornata in un’aula per sedermi dall’altra parte della cattedra, come professoressa aggiunta. 

Una grande differenza è costituita dai libri disponibili oggi rispetto a quelli che avevo ai miei tempi. Ma i fondamenti della cucina sono ancora essenziali, tutti devono sapere come tenere un coltello e devono avere delle competenze culinarie di base prima di entrare più nello specifico nelle varie aree della cucina. 

Adesso ci si concentra di più sui valori nutrizionali di un piatto rispetto a un tempo. E anche le tecniche di impiattamento si sono evolute molto. Quando studiavo io, non avevamo le pinzette e tutti i vassoi e i piatti che hanno oggi gli studenti. 

Ora c’è una maggiore precisione nella presentazione dei piatti, ai miei tempi tutto questo non esisteva.

Molto è cambiato ma i fondamenti sono sempre quelli e, se vuoi eccellere come chef, dovrai impararli.

Qual è il tuo stile di insegnamento in cucina?

Credo che il metodo migliore sia imparare osservando. I miei studenti mi osservano mentre faccio qualcosa in cucina, e poi lo ripetono mentre io li osservo e do loro dei consigli e suggerimenti, e così via. Per me, il modo migliore per imparare è seguire l’esempio e credo che il miglior modo di insegnare sia seguire lo stesso principio. 

Se c’è qualcosa che è particolarmente tecnico e gli studenti non hanno mai provato a farlo prima, dovrò mostrare loro come si fa e poi lo dovranno ripetere, così da dimostrare di aver capito la tecnica e quali sono i vari passaggi per eseguirla bene.

Sei ancora in contatto con i tuoi ex colleghi della scuola di cucina?

I social sono una cosa bellissima e grazie a loro riesco a mantenere i contatti con alcuni dei miei vecchi compagni di scuola. Uno chef è diventato istruttore della scuola che abbiamo frequentato insieme. Era davvero bravo ed era molto preciso, quindi non mi sorprende sapere che è finito a fare l’istruttore, sono sicura che i suoi studenti lo adorano.

Quale consiglio professionale daresti ai tuoi studenti che stanno per finire la scuola di cucina?

Il mio consiglio principale è di non aspettare di finire la scuola per iniziare a lavorare. La cosa migliore da fare è trovare un lavoro in cucina durante gli studi. In questo modo, al completamento del diploma, avranno già un’esperienza nel mondo del lavoro e saranno in grado di capire davvero come funziona una cucina. La scuola dà una conoscenza teorica, ma non potrà sostituire mai l’esperienza pratica in una cucina professionale. 

Il mio secondo consiglio è quello di stringere quante più amicizie e contatti possibile nel settore, è una comunità piccola e se ci si fa conoscere come professionisti che lavorano con impegno e dedizione, sarà più facile trovare un buon lavoro.

Come sei passata alla pasticceria?

In realtà, non è successo grazie alla scuola. Avevo seguito un corso di pasticceria, ma era solo una parte di un anno della scuola di cucina. Ed era stato un mezzo disastro. Il nostro primo insegnante era francese e parlava pochissimo inglese. A un certo punto, i troppi impegni di lavoro lo avevano costretto a smettere di insegnare e le ultime settimane era stato sostituito dal capo dipartimento che, però, non era un pasticcere, e a quel punto io mi sentivo completamente persa. 

Alla fine, avevamo smesso tutti di andare a lezione perché il pasticcere francese non si presentava più. A quei tempi, potevamo semplicemente presentarci, firmare il foglio di presenza e poi andare via, le regole della scuola lo permettevano. 

Ma il mio insegnante di panetteria era impeccabile. Era un tipo vecchia scuola. Riusciva a pesare gli ingredienti secchi a mano e a occhio, senza dover usare strumenti. La sua esperienza con la panetteria era ineguagliabile e mi piaceva imparare da lui.

Ho frequentato il suo corso all’inizio del mio programma e per i tre anni successivi ho evitato di andare a lavorare nella pasticceria. A quei tempi, il pasticcere aveva un caratteraccio, sbatteva costantemente le cose e urlava in faccia alla gente e mi sentivo intimidita a partecipare alle sue lezioni.

Praticamente, ho aspettato che andasse via. Alla fine dei tre anni di scuola, ho dovuto fare il mio turno nella panetteria e pasticceria. Il pasticcere era già andato via ed era stato sostituito da un assistente che era stato promosso. 

Il nuovo capo era americano. Era un autodidatta e aveva voglia di insegnare. Mi spiegava davvero le cose e mi faceva vedere come si gestiva una pasticceria, e per me è diventato tutto facile.

Il mio chef voleva che diventassi capo partita, ma io non vedevo un percorso professionale oltre il reparto della preparazione delle salse, per questo ho deciso di rimanere nella pasticceria. Tutta quella competizione e la preparazione di piatti per grandi banchetti non facevano per me.

Quando ho iniziato, c’era ancora molto bigottismo e lo chef del nostro ristorante in realtà non permetteva alle ragazze di lavorare in altre stazioni che non fossero le insalate o i dessert. 

Io mi trovavo molto bene con la panetteria e la pasticceria. Il maestro pasticcere di quei tempi aveva voglia di insegnarmi e ho iniziato a pensare che potevo farcela davvero e che quella poteva diventare una carriera professionale per me.

Cosa distingue il reparto della pasticceria dal resto della cucina?

C’è un proverbio che si ripete spesso tra i pasticceri: la pasticceria è una scienza e la cucina è un hobby. Nella pasticceria, bisogna essere estremamente precisi ed è questo che spaventa molte persone e le allontana dalla pasticceria. Non basta mettere insieme un po’ di questo e un po’ di quello improvvisando, è necessario usare misure esatte. 

Molte persone non sono abituate a lavorare così e la cosa potrebbe fare paura. Noi ci riferiamo alle ricette come formule, perché in realtà è una scienza. Non possiamo aggiungere all’impasto un lievito in cattive condizioni, o uno starter morto o un lievito chimico sbagliato, dobbiamo misurare tutto. 

Dobbiamo conoscere la differenza tra la misurazione degli ingredienti liquidi e di quelli secchi, e perché è importante non confonderli. Ci sono molte cose che i veri esperti di cucina dovrebbero sapere e che molti cuochi non sanno perché non preparano dolci con la stessa frequenza dei pasticceri. Mentre noi panettieri e pasticceri conosciamo le differenze. 

Ma io dico sempre ai miei panettieri e pasticceri che è importante conoscere l’altra parte della cucina perché non sai mai quando potrebbe venirti richiesto di collaborare alla preparazione di un piatto o di dare una mano in generale. Un buon pasticcere deve conoscere un po’ di tutto.

Come credi che il settore della ristorazione sia cambiato oggi rispetto a quando hai iniziato?

Le nuove generazioni hanno sicuramente una forma mentis diversa quando si tratta di equilibrio vita-lavoro. Non sono disposte a dedicare tanto tempo al lavoro e a fare turni di molte ore, come facevamo noi un tempo. Quindi credo che il settore si debba adattare a questo cambiamento della mentalità, soprattutto considerata l’attuale carenza di forza lavoro.

In che modo entrare a far parte della Federazione culinaria americana ha contribuito alla tua carriera professionale?

Sono in molti a chiedermi se vale la pena ottenere una certificazione, e io dico sempre che la certificazione è importante. Quelle iniziali dietro il mio nome mi hanno davvero aperto molte porte. 

Possedere una convalida esterna delle tue conoscenze e del tuo set di competenze può darti più opportunità e distinguerti rispetto agli altri capopartita o pasticceri senza certificazione. 

L’appartenenza a un’associazione culinaria certificata dimostra che stai studiando e che continuerai a studiare, perché dovrai rinnovarla ogni cinque anni. 

E i contatti che fai nel settore non hanno prezzo. Posso andare dovunque negli Stati Uniti e incontrare altri chef di altre sezioni locali e imparare da loro, assaggiare i loro piatti e creare nuovi rapporti nel nostro settore.

BACK TO MAIN PAGE IT

< TORNARE ALL’INIZIO

More related content IT

ALTRI CONTENUTI RELATIVI