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Francisco Sanabria, Executive Chef di Rosewood, spiega come lavorare all’estero può accelerare la tua carriera in alta cucina

da | CONSIGLI DALL'ALTO, LASCIATI ISPIRARE, più popolare

Il settore turistico e alberghiero globale è un’industria in costante crescita e cambiamento, che mette in contatto lavoratori di ogni continente e offre nuove possibilità ed esperienze professionali.

Il turismo mondiale è sulla buona strada per tornare ai livelli pre-pandemia. Dall'aumento dei viaggi internazionali alla crescente domanda di alloggi di lusso, il nostro settore sta tornando al suo apice, generando nuovi guadagni e opportunità.

Sono molti i professionisti che desiderano intraprendere una carriera nel settore turistico e alberghiero internazionale, cambiare vita e iniziare a viaggiare, ma non è sempre facile prendere la decisione di lasciare la propria zona di comfort.

Francisco Sanabria, Executive Chef di Rosewood Villa Magna Madrid, ci racconta la sua storia di viaggiatore ed esperto di alta cucina, affinché altri professionisti possano seguire le sue orme e avventurarsi nel mondo dell'ospitalità internazionale e dell'alta cucina.

Raccontaci la tua storia: cosa ti ha spinto a scegliere una carriera nell'alta cucina?

 

Vengo da Cáceres, una piccola città dell'ovest della Spagna, da una famiglia di avvocati e ho studiato legge per 3 anni, finché non ho deciso che non faceva per me e che avevo bisogno di cambiare aria. 

La mia vita era più o meno già pianificata, finché non ho scoperto che mi concentravo più sulla preparazione dei pasti per la mia famiglia e per i miei amici, che sugli esami che dovevo preparare.

Credo di avere avuto una chiamata. Qui al Rosewood la chiamiamo calling, la chiamata, la vocazione. 

Ho lasciato il mio confortevole nido di Cáceres e mi sono trasferito a Santiago de Compostela, per studiare presso il Centro Superior de Hostelería de Galicia (CSHG). Poi, sono andato a lavorare a Madrid per due anni, e da lì ho trascorso 14 anni in provincia di Barcellona, lavorando al Sant Pau, il ristorante tre stelle Michelin di Carme Ruscalleda.

In quel periodo, la Ruscalleda aveva aperto il ristorante Sant Pau Tokyo in Giappone, e il ristorante Moments all'hotel Mandarin Oriental di Barcellona, e io ho iniziato a gestire i tre locali, viaggiando costantemente tra Tokyo e Barcellona.

C'è stato un momento in cui avrei voluto tornare dalla mia famiglia, ma la vita aveva altri piani per me: ho avuto l'opportunità di lavorare all'apertura del Rosewood Hotel di Abu Dhabi, dove sono rimasto per 4 anni. Da lì sono passato all'hotel che il gruppo ha aperto alle Bahamas e, dopo due anni, mi sono spostato alle Isole Vergini per aprire un altro Rosewood Hotel, il Little Dix, dove sono rimasto per 3 anni e mezzo, fino a quando l'azienda ha aperto l'hotel Villa Magna a Madrid.

Dopo 20 anni di viaggi in tutto il mondo, era arrivato il momento di tornare a casa.

Oggi, molte persone perdono la motivazione e si allontanano dal settore turistico e alberghiero. Come sei riuscito a mantenere viva la passione per questo lavoro?

 

L'amore per la cucina è una parte fondamentale e continua a essere la mia passione, giorno dopo giorno. Ma, quando si inizia a viaggiare, la mente si apre a nuovi orizzonti e questo fatto crea un valore aggiuntivo, che non è intrinseco alla professione di cuoco, ma che arricchisce molto: la passione per il viaggio e la conoscenza di nuove culture. L'opportunità di aver chiamato oggi "casa" tante città diverse.

Viaggiare è sempre stata una sfida, e forse è questo che ha continuato a motivarmi: avere nuove sfide e opportunità che hanno fatto in modo che tutto rimanesse sempre fresco, nuovo e interessante. Quando si viaggia tutto diventa un'avventura: dall'andare al supermercato, alla passeggiata, alla scoperta dei ristoranti, tutto è nuovo.

È stato difficile prendere la decisione di uscire dalla tua zona di comfort e andare via dalla Spagna?

È stato difficile, ma mi sono concesso solo una settimana per prendere la decisione. Queste sono opportunità che non capitano spesso, e non potevo lasciarmela sfuggire. 

Quando succede, bisogna valutare bene l'offerta di lavoro e, spesso, quando si va all'estero, è perché le offerte sono molto migliori di quelle che si hanno nel proprio Paese. Nel mio caso, i diversi luoghi in cui ho vissuto sono sempre stati luoghi pensati per attirare lavoratori stranieri, quindi l’offerta nel suo complesso è sempre molto allettante e a volte è difficile dire di no.

Inoltre, non è una condanna, non siete obbligati a rimanere sul sito. E poi se, una volta iniziato, ci si accorge che non è quello che ci si aspettava, si può sempre tornare a casa. Io sono partito con questa mentalità. Mi sono detto: "Beh, vado, provo e se non mi piace torno indietro".

E ora mi manca tutto molto, mi mancano i luoghi, le amicizie che ho fatto lungo la strada e i miei colleghi di lavoro. Sono state tutte esperienze fantastiche e ognuna mi ha lasciato qualcosa.

Per chi volesse fare la tua stessa esperienza, se dovessi consigliare un luogo in cui recarsi per formarsi nell'alta cucina, quale sarebbe?

 

Spagna, Francia e Italia sono Paesi in cui l’alta cucina ha raggiunto livelli importanti.

È difficile trovare altrove luoghi che possano eguagliare l'alta qualità della cucina di questi Paesi. Ma tutto ciò che significa cambiare, uscire dalla propria zona di comfort e imparare qualcosa di nuovo, sarà un arricchimento.

Credi che saresti cresciuto così tanto se fossi rimasto in Spagna?
 

No, affatto. In Spagna ho iniziato a lavorare come stagista per sei mesi con Carme Ruscalleda, finché mi hanno offerto un contratto e sono cresciuto fino a diventare capo cuoco. Sono stati quasi tredici anni della mia vita concentrati nello stesso posto.

Lì ho imparato cosa significa rispetto per la cucina, per la materia prima, per la tradizione, e ho imparato a essere responsabile. È stata una base molto importante per me. Ma per crescere professionalmente, naturalmente, è stato il trasferimento all'estero a dare una spinta alla mia carriera.

Generalmente, sono opportunità in luoghi che non sono molto “popolari”. Tutti vogliono andare a Londra, a New York, a Miami, in città generalmente più vive, e sono in pochissimi a voler andare ad Abu Dhabi o in un’isola dei Caraibi, in cui non c’è praticamente nessuno.

Le offerte come queste, quelle che possono sembrare meno allettanti, sono in realtà quelle che premiano davvero e danno molto in cambio: la carriera professionale avanza più rapidamente e gli incentivi economici sono più alti.

Restando a casa, difficilmente si cresce, oppure si può crescere fino a diventare i migliori a casa propria, ma niente di più. 

C’è un motivo specifico per cui ci hai messo tanto a tornare in Spagna?

 

Ho sempre voluto tornare in Spagna, ma non era mai il momento giusto. Per vari motivi, c’era sempre qualcosa di più allettante, o che mi dava la possibilità di crescere di più.

È chiaro che, se l’opportunità di tornare a Madrid mi fosse arrivata quando mi trovavo ad Abu Dhabi, ad esempio, non sarebbe stata per un ruolo da executive chef, ma per una posizione probabilmente inferiore.

Credo che tutto sia successo al momento giusto, perché la vita è così, non sai mai cosa ha in serbo per te.

La più grande preoccupazione per un professionista dell’alta cucina, quando si tratta di lasciare la sua casa, è l’incapacità di poter compaginare la vita personale con il lavoro. Ti ci riconosci?

 

Sì, in generale è molto difficile raggiungere questo equilibrio tra vita personale e vita professionale lavorando nel settore alberghiero, e nell’alta cucina lo è ancora di più.

Questa è, senza dubbio, la parte peggiore dello stare all’estero, soprattutto quando si lascia indietro la famiglia, perché si possono fare sempre nuove amicizie, ma la famiglia è una sola e non può essere sostituita. 

E la mia famiglia mi mancava moltissimo. Quando si sta fuori, si ha sempre l’impressione di perdersi qualcosa. Ti trovi in un altro luogo, fai la tua vita, ma intanto la vita della tua famiglia va avanti senza di te e, anche se restate sempre in contatto, ti perdi i piccoli momenti.

È questo il motivo che mi ha fatto tornare a Madrid, vicino a casa e vicino alla mia famiglia. Ma se, piuttosto che 45 anni oggi ne avessi 28, credo che sarei rimasto all’estero.

Mi sono trasferito ad Abu Dhabi quando avevo 34 anni ma, col senno di poi, avrei dovuto prendere questa decisione molto prima, per avere più tempo a disposizione e conoscere molti altri luoghi. 

È vero che chi vive lontano da casa ha sempre il cuore spezzato in due?

 

Sì, quando inizi a viaggiare cominci a sentire quella smania di novità, che non ti abbandona mai.

Quando ti trasferisci in un luogo nuovo, persino le cose più semplici si trasformano in avventure emozionanti. È come scartare i regali di Natale. Se ti piace viaggiare, ogni nuovo luogo che visiterai sarà come scartare un nuovo regalo.

E, quando torni, succedono due cose: la prima è che pensi che la tua casa sarà così come l’hai lasciata ma non lo è e, a volte, ci si sente persi; la seconda è che la voglia di viaggiare non ti lascia mai.

Mi piacerebbe avere un'altra opportunità di lavoro all’estero, per conoscere nuovi Paesi, e mi rattrista molto il pensiero che gli anni passano e io ho già un’età. Potrei continuare con quella vita, ma il prezzo da pagare sarebbe molto più alto, per la mia vita familiare e personale. Ma continuerò a viaggiare quando sarò in vacanza, e a scoprire nuove destinazioni.

Non bisogna mai chiudere nessuna porta e, anche la famiglia è molto importante, ho sempre quella speranza, quel po’ di entusiasmo che mi fa pensare "vediamo cosa mi riserva la vita, ascoltiamola" e se ha un nuovo progetto per me, allora dovrò pensarci.

Qual è l’insegnamento più importante che hai acquisito lavorando all’estero?

 

Quando viaggi, impari naturalmente a cucinare, perché è un qualcosa con cui sei costantemente in contatto, non solo quando lavori. Ma quello che ho apprezzato di più della mia vita all'estero è stato lavorare con team di culture diverse.

Il saper gestire team multiculturali, multietnici e multigenerazionali, credo sia ciò che mi ha arricchito di più.

È vero che, nei Paesi in cui ho lavorato, chi lavorava nel settore lo faceva per necessità perché, essendo destinazioni molto turistiche, come i Caraibi o il Medio Oriente, era l'unica opportunità di lavoro.

In Spagna è molto diverso. Sono tornato a lavorare con le persone con cui avevo iniziato la mia carriera, non solo spagnoli, ma team multiculturali, persone che avevano deciso di lavorare nel settore alberghiero per vocazione, non per necessità.

Qui, chi lavora nell'alta cucina lo fa per seguire la propria vocazione, cosa che in Europa non valorizziamo abbastanza.

Credi che viaggiare ti abbia reso un leader migliore? 

 

Credo di sì. Vivendo in luoghi diversi si impara che ciò che funziona in un posto potrebbe non funzionare in un altro, e si impara a essere molto flessibili e pazienti. Lo stesso vale per il tipo di linguaggio che si usa.

E sono lezioni che si imparano per tutta la vita. Bisogna reinventarsi per ottenere ciò che si vuole: il meglio per il proprio ristorante, per il proprio hotel, per la soddisfazione del cliente e per la soddisfazione del proprio team.

Per te è importante avere un team internazionale?

A Villa Magna, ho un team internazionale, ma non tanto quanto vorrei. La multiculturalità dei team che gestivo in altre località mi offriva una ricchezza, quando si trattava di elaborare i menu, le offerte ma anche la quotidianità, che una squadra con solo due o tre nazionalità diverse non ti permette di raggiungere. E, naturalmente, mi piacerebbe averla anche qui.

Allo stesso tempo, non si può avere un team straniero al 100%, perché così si perde il senso del luogo. La politica di Rosewood si basa molto su questo, sul senso del luogo, che cambia in ogni hotel. Ad esempio, non avrebbe senso che il menù dell’hotel di Madrid fosse completamente internazionale.

Quando esamini un CV, valuti positivamente eventuali esperienze all’estero o i candidati stranieri?

 

Essere stranieri o avere un'esperienza all'estero è sempre un vantaggio quando si forma il team, perché so che quelle persone contribuiranno con la propria esperienza, ad esempio con altri tipi di cucina, e questo è un arricchimento non solo per me, ma per tutto il team. 

 

Quali sono le competenze che un professionista deve avere per lavorare nella tua cucina?

Innanzitutto, la tecnica: non bisogna perdere l'entusiasmo e la voglia di imparare cose nuove. Non ci si può fermare e pensare di sapere già tutto. Bisogna essere disposti a imparare nuove tecniche e a tenersi aggiornati, perché la cucina avanza e si innova continuamente... 

In secondo luogo, le lingue. Credo che le lingue siano uno dei grandi problemi irrisolti, in Spagna in generale e nel settore alberghiero in particolare.

In Spagna siamo molto privilegiati, perché abbiamo una grande cultura gastronomica e grandi maestri di riferimento, nella cucina e nell'alta cucina. Ma non possiamo limitarci a ciò che accade nelle nostre quattro mura. Dobbiamo essere in grado di viaggiare e vedere cosa fanno gli altri grandi geni delle grandi cucine del mondo. E, per farlo, bisogna conoscere le lingue.

Se dovessi dare un consiglio a chi vuole andare all’estero per crescere nell'alta cucina, quale sarebbe?

Di farlo! Non è una condanna a morte, non è un mutuo e non è un matrimonio. Direi di provare, perché sarà un’esperienza positiva.

Magari qualche volta si prova e le cose non vanno per il verso giusto. In quel caso, si può sempre tornare a casa e, se si è giovani, è facile trovare lavoro nel proprio settore e nella propria città.

Ma chi rimane a casa propria conosce già l'esperienza e l’ambiente circostante, e non esce dalla propria zona di comfort... Rischiate! Non perdete nulla, anzi, c’è molto guadagnare e pochissimo da perdere.

 

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