BACK TO MAIN PAGE IT

< TORNARE ALL’INIZIO

10 Minuti con: Marcel Thoma, General Manager, Mandarin Oriental Marrakech

da | CONSIGLI DALL'ALTO, LASCIATI ISPIRARE

Marcel Thoma ha iniziato a lavorare per Mandarin Oriental durante uno dei periodi più difficili nella storia del settore turistico e alberghiero, l’anno in cui il mondo intero è andato in isolamento. Era il marzo del 2020 e Marcel si trovava nella sede centrale di Hong Kong in attesa che il Marocco riaprisse le frontiere. È arrivato infine a Marrakech a settembre, proprio mentre il paese riapriva con molta cautela le proprie porte anche se, nell’anno e mezzo a seguire, è rimasto comunque uno dei più rigorosi al mondo in termini di restrizioni di viaggio. Le strutture ricettive sono state costrette a reinventarsi velocemente per poter sopravvivere. Per fortuna, Marcel non era avverso alle sfide, potendo inoltre contare su un’esperienza ventennale in alcuni dei gruppi alberghieri leader al mondo, tra questi il Ritz Carlton in Messico e Spagna, il Carlyle a New York, e l’Upper House, a Hong Kong.

Cosa ti ha spinto a scegliere il mondo dell’ospitalità?

Sono cresciuto in un piccolo villaggio della Svizzera, a circa 45 minuti da Zurigo, e non riuscivo a sopportare l’idea che avrei dovuto vivere lì per il resto della mia vita. Sin da piccolo, ho sempre avuto voglia di scoprire il mondo. Quando avevo 5 anni, sono andato a Londra con la mia famiglia e non riuscivo a credere ai miei occhi! Erano i primi anni ‘80, vedevo in giro punk, persone con i capelli rosa, era proprio uno stile diverso. In Svizzera non avevo mai visto nulla di simile, e ne ero rimasto molto colpito. A 16 anni ho avuto l’opportunità di fare uno stage presso un ottimo hotel per convegni e con servizi sportivi nei pressi del lago di Costanza. Mi piaceva il viavai della gente, ascoltare le storie dei tennisti e delle squadre di calcio di alto profilo che soggiornavano presso di noi; è stata la mia prima esperienza con i VIP e con le celebrity, e me ne sono innamorato.  

Come hai fatto a creare la tua carriera professionale?

Un mio amico era diretto a Bangkok per lavoro e mi aveva consigliato di seguirlo e di candidarmi per uno stage nel settore guest relations. Era il 1997, avevo 20 anni, e stavamo assistendo al boom del turismo. Era un luogo incredibilmente entusiasmante e ho amato esplorare questa nuova cultura, ma il direttore generale, uno svizzero che mi aveva preso sotto la sua ala, mi diede un consiglio importantissimo. Mi disse: “potresti benissimo farti assumere da un gruppo tipo Hyatt, frequentare un programma di tirocinio per manager e diventare direttore generale. Ma, onestamente, quello che ti consiglio di fare è tornare alla École Hôtelière de Lausanne (ehl.edu), e studiare. Non era quello che volevo sentirmi dire, perché era una scuola molto all’antica, ai tempi era obbligatorio avere una presenza impeccabile e indossare giacca e cravatta (una regola che hanno da poco abolito), ma era il posto migliore al mondo se volevi davvero capire cosa significa gestire un hotel. Ed è quello che ho fatto. 

Cosa ti ha spinto a lavorare per Mandarin Oriental?

È una delle poche aziende a essere abbastanza grande da essere globale, ma non così grande da perdere l’impronta personale, e questo per me è molto importante. È incredibilmente ben organizzata, dalla formazione che riceviamo, passando per la filosofia alla base del modo in cui lavoriamo, fino agli standard del nostro servizio e al sistema di supporto. È un’azienda molto esigente, ma offre importanti prospettive di carriera, e non ci si annoia mai.

Cosa significa per te ospitalità? 

È un lavoro molto semplice ma, al tempo stesso, particolarmente difficile. È come organizzare un enorme spettacolo che va avanti di continuo, 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana. Le possibilità di far divertire le persone sono molte, ma lo sono anche le possibilità di fare errori e, naturalmente, gli esseri umani non lavorano così. È necessario dormire e mangiare, quindi dipendi dal tuo team e devi fidarti di loro. Devi sapere che, se inviti qualcuno ad assistere allo spettacolo, questo deve essere all’altezza. Come direttore dello spettacolo, non ti limiti semplicemente a dare il benvenuto agli arrivati e assicurati che siano davvero soddisfatti, ma devi avere a che fare anche con le emozioni del tuo team, e con quelle degli ospiti. Devi fare anche da psicologo, da medico e da tutto ciò che sta nel mezzo. E, se non è la tua passione, non avrai mai successo. 

Come hai gestito questi due ultimi anni molto difficili?

All’inizio, era molto triste vedere la medina così deserta, ma nel momento in cui sono state aperte le frontiere sono arrivati i clienti francesi ed è sembrato subito che la vita ricominciasse. Per la seconda chiusura, nel marzo del 2021, sono stati necessari alcuni sacrifici, che sono stati particolarmente difficili in un paese in cui il governo non prevede una cassa integrazione e l’unico supporto per i colleghi consisteva in 2000 dirham al mese che, anche in Marocco, non sono molti. 

Abbiamo deciso di rimanere aperti e puntare su un mercato nazionale. Abbiamo rilanciato il nostro brunch della domenica a bordo piscina e abbiamo contattato lo chef stellato parigino Akrame Benallal, che ha creato un pop-up del suo concept Shirvan Café Métisse da dicembre 2020 a giugno 2021, che si è poi tramutato in una presenza fissa. Abbiamo anche rivisitato l’offerta della nostra spa affidando a Jimmy Jarnet, il miglior wellness designer della Francia, il rifacimento dei nostri programmi. Prima della pandemia era raro per noi accogliere ospiti locali, e quello che abbiamo scoperto in questo periodo è che amano avere un luogo in grado di rappresentare un equilibrio tra svago e relax. 

Quali sono i tre fattori chiave per gestire un hotel di successo?

Per prima cosa, bisognerà avere un buon team, che condivida i tuoi stessi valori e la passione per quello che fate. Senza un buon team, non si va da nessuna parte. In secondo luogo, è importante che i proprietari e i superiori siano di incoraggiamento e siano disposti ad aiutare e a porti delle sfide, e che condividano le proprie idee e feedback soprattutto quando le cose non vanno come previsto. Terza cosa, fondamentale, non sei niente senza una buona clientela. Se non parlano dell’hotel dopo avervi soggiornato, se non ti aiutano a diffondere la voce, puoi farti tutta la pubblicità che vuoi, ma non potrai mai contare sul passaparola, che è uno strumento potentissimo. Aiutare le persone a partecipare e creare dei ricordi, così da sentire la mancanza quando vanno via, è importantissimo e non c’è niente di più gratificante di quando gli ospiti che stanno ancora soggiornando ti dicono che stanno già programmando il loro prossimo viaggio. 

Cosa ti entusiasma di più di lavorare in Marocco?

Il Marocco è uno degli ultimi paesi autentici. Hanno fatto un ottimo lavoro di tutela del patrimonio, della cultura e di tutto ciò che è stato ereditato del passato, come la medina di Marrakech, che è un patrimonio mondiale protetto dall’UNESCO, e la natura è incredibile. Non ci sono lussuosi centri commerciali in cui acquistare Gucci e Prada, ma l’artigianato locale è unico nel suo genere ed è un qualcosa che oggi è impossibile trovare in molte altre destinazioni. È una meta turistica straordinariamente interessante. 

Quali sono le principali sfide che deve affrontare il nostro settore e come vi state muovendo? 

Trovare i talenti è difficile. A livello junior, la maggior parte non sono entusiasti all’idea di dover servire il caffè a un ospite alle 7 della domenica mattina, o all’idea di dover fare le pulizie come prospettiva di carriera. Quindi, secondo me, è importante far vedere loro qual è la nostra offerta: un senso di famiglia, stabilità, una formazione solida, opportunità di carriera e uno stile di vita. Alla fine dei conti, è un’attività basata sulle persone, e credo ancora che le persone siano davvero interessate al servizio, perché è molto gratificante riuscire a soddisfare la clientela. 

Anche assumere dirigenti di medio e alto livello è estremamente importante ma, a causa delle tante aperture di hotel, il personale per ricoprire questi ruoli è sempre meno. Affrontiamo questo problema promuovendo dall’interno e, se prima assumevamo in base all’esperienza, oggi assumiamo in base alla passione e alla voglia di imparare e siamo disposti a investire sulla formazione necessaria per rendere quella persona un professionista dell’ospitalità.

Nonostante tutte le sfide, cosa ti entusiasma di più del nostro settore? 

Amo il fatto che non esistono due giorni uguali, che ogni giorno conosco nuove persone, e sapere che, ovunque io vada, conoscerò sempre qualcuno quasi in ogni città. Le esperienze sono davvero arricchenti. Lavorare in un hotel significa che puoi lavorare ovunque, Timbuctu, Scozia, Abu Dhabi o Siberia, perché il lavoro consiste nel prendersi cura delle persone, ed è uguale dappertutto. Ciò che cambia è l’atmosfera, il cibo, la mentalità, il clima e le circostanze. 

Quali sono le tue ambizioni per i prossimi anni?

La pandemia ci ha insegnato che i nostri programmi potrebbero non avverarsi. Non riesco a immaginarmi di stare seduto per tutta la giornata a fissare lo schermo di un computer, ma mi piacerebbe moltissimo lavorare in un Mandarin Oriental in un’altra destinazione. Voglio evolvermi continuamente e sono aperto a fare tutte le nuove esperienze che mi si presenteranno. 

BACK TO MAIN PAGE IT

< TORNARE ALL’INIZIO

More related content IT

ALTRI CONTENUTI RELATIVI