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Il cofondatore di Pa de Kilo ci parla dell’idea visionaria dietro il suo panificio di successo

da | LASCIATI ISPIRARE, VISIONI

Il secondo episodio di Visions di Hosco ci fa conoscere Pa de Kilo, un panificio situato nel centro storico di Barcellona e famoso per la qualità del suo pane.

Una delle frasi che più ci sono rimaste impresse nella memoria quando abbiamo trascritto l’intervista è stata la risposta di Oswaldo Brito, cofondatore di Pa de Kilo, quando gli abbiamo chiesto quale fosse, per lui, la chiave per il successo:

«La chiave per il successo, per me, è essere trasparenti», ci ha detto, «trasparenti in fase di lavorazione, trasparenti con i clienti e farsi conoscere senza avere nulla da nascondere. Molti dei clienti che entrano nel nostro negozio cercano di sbirciare per vedere quello che succede nel retrobottega, nel laboratorio, e quando questo succede li invitiamo a entrare. "Stiamo facendo il pane" diciamo, "se vuoi, entra e dai un’occhiata"».

Ed è proprio così che Oswaldo Brito ci ha accolti quando siamo arrivati a Pa de Kilo. Pochi secondi dopo, eravamo già intorno al grande tavolo del laboratorio, circondati dal personale che impastava il pane e, lì dentro, tra farina e risate, ha iniziato a raccontarci la sua storia e l’idea alla base di questo progetto.

Inizia così il secondo episodio di Visions, in cui Hosco è andata a scoprire i segreti dietro questo panificio artigianale.

Se vuoi guardare la nostra intervista a Oswaldo Brito, cofondatore di Pa de Kilo, la trovi qui:

Presentati e parlaci un po’ di te

 Mi chiamo Oswaldo Brito e sono il cofondatore di Pa de Kilo, insieme a Jordi Mestre. Sono venezuelano e mi sono trasferito a Barcellona nel 2000, per frequentare un corso alla Scuola di cucina Hofmann.

Una volta completato il corso, ho iniziato a lavorare in diverse strutture di Barcellona. Ho lavorato in ristoranti, hotel, panetterie, panifici e pasticcerie, fino a quando, nel 2015, ho deciso di aprire insieme a un socio il mio ristorante, Mano Rota, nel quartiere Poble Sec. Quello di Mano Rota è stato un progetto molto speciale, a cui abbiamo lavorato tantissimo ma, dopo tre anni, ho deciso di venderlo e di cercare nuovi progetti. 

Perché hai deciso di vendere il ristorante Mano Rota?

Il progetto stava prendendo una strada, con il mio socio, che non era quella che volevo io, per questo ho deciso di vendere. In quel periodo ho iniziato a lavorare con un’agenzia di produzione di eventi di cucina che si chiama GSR, con la direttrice Roser Torras.

 E come sei passato dall’organizzazione di eventi all’apertura di un panificio?

 Ho lavorato con Roser Torras per tre anni, e in questo periodo ho organizzato congressi come Madrid Fusión, San Sebastían Gastronomica e Hostelico Alimentaria. Eventi grandi e importanti.

Nello stesso periodo, mi incontravo spesso con Jordi Mestre, fondatore di Nomad Coffee e oggi mio socio nel progetto Pa de Kilo, per parlare del nostro progetto di prendere un locale in cui fare pane e vincolare il mondo del pane con quello della caffetteria.

 In quello stesso periodo è arrivata la pandemia e, visto che non è stato più possibile organizzare eventi, ho smesso di lavorare con GSR. È stato proprio in questo momento di impasse che mi ha chiamato un amico per parlarmi di un locale in cessione: era la vecchia sede di Barcelona Reykjavik, un panificio di riferimento in città negli anni 2000.

Il locale era chiuso da due anni e, quando siamo andati a vederlo, ci siamo resi conto che, anche se il posto in sé era distrutto, si trovava in un punto molto interessante della città, nel centro di Barcellona, e con dei macchinari che potevamo aggiustare e far funzionare nuovamente.

Così, ho deciso di chiamare Nuño Garcia, un mio amico di Madrid che è panettiere e pasticciere e uno dei più bravi che conosco. L’ho chiamato e gli ho chiesto di venire a Barcellona a insegnarci a fare il pane.

Pensando alla tua formazione e traiettoria professionale come chef, cosa ti ha spinto a diventare panettiere?

Il pane mi è sempre piaciuto! E lo mangio spesso.

 Sono cuoco, non panettiere, ma mi piace molto mangiare e mi piace la buona cucina. Ho molti anni di esperienza nella ristorazione ma, alla fine, la vita mi ha portato fin qui, a dedicarmi al mondo del pane. Ma, dietro tutto questo, sono ancora un cuoco.

 Probabilmente, è stato quando lavoravo alla Scuola di cucina Hofmann che ho deciso che mi sarei dedicato al pane. C’è stata un’epoca in cui, in pausa pranzo, compravamo pane da dare agli alunni, ma lo compravamo da un’azienda che lo portava congelato.

Così, un giorno, ho deciso di parlare con una collega e le ho detto: “Penso che stiamo sbagliando qualcosa. Siamo una scuola di cucina che difende la qualità delle materie prime e la qualità delle lavorazioni, non possiamo dare da mangiare agli alunni del pane congelato. Perché non lo facciamo noi, il pane? È farina, acqua e sale!” E lei mi ha detto di sì, di calcolare i costi per valutarne la viabilità e di organizzarci.

Così abbiamo iniziato a fare il pane per il pranzo degli alunni e, dopo un anno, ci siamo resi conto che il valore che un alunno dà a un pezzo di pane o alla quantità di pane da mangiare è ben diverso quando viene fatto con le proprie mani e non proviene da un’azienda di prodotti congelati.

Tutto questo ha finito per essere di insegnamento per i ragazzi: non hanno imparato solo a fare il pane, ma hanno imparato anche a capire il valore della lavorazione che sta dietro questo prodotto.

Oggi, abbiamo perso il rispetto verso il pane, perché è un prodotto economico e facilissimo da trovare, e non gli viene dato il valore che si merita.

 È stato in quel momento che mi sono innamorato della lavorazione del pane. 

Qual è il cuore del progetto Pa de Kilo?

Il nostro prodotto è speciale perché lavoriamo con metodi lenti, con farine di alta qualità e con lievito madre vivo, che rinfreschiamo ogni giorno. Tutto questo fa sì che il prodotto abbia un risultato diverso. Un altro elemento che fa la differenza è lo spazio in cui lavoriamo.

 Esistono panifici che lavorano come noi, con materie prime fresche, con lievito madre, con lavorazioni lente e infornando ogni giorno, ed esistono poi altri panifici che si sono trasformati in catene e in produzioni di seconda fascia, che ormai vendono prodotti che non hanno lo stesso valore nutrizionale o commerciale, né lo stesso valore sentimentale.

 Veniamo da un’epoca in cui il pane è stato sottovalutato. Voglio dire, troviamo il pane anche nei distributori di benzina. Ma nessuno compra i farmaci fuori da una farmacia, no? Allora, perché è accettabile l’idea di comprare il pane fuori da un panificio?

 Le persone si sono abituate a comprare pane di bassa qualità e ovunque.

 Secondo me, per molti anni, non gli abbiamo dato il suo giusto valore ma, nel corso della pandemia, tutti si sono messi a fare il pane in casa e, probabilmente, questo ha fatto sì che si tornasse a dare al pane il valore che si merita.

 La gente ha capito la differenza tra i prodotti artigianali dei panifici che seguono una lavorazione tradizionale e quelli che si trovano al supermercato. Perché quello del supermercato non è pane.

 Alla fine, basta solo cambiare abitudini. Non è poi così difficile trovare del buon pane. Basta organizzarsi, cercare il panificio del quartiere dove comprare pane buono, quello che dura, per comprarlo così una volta a settimana, conservarlo e mangiarlo per molti giorni. In questo modo, non sarà più necessario comprare del pane scadente ogni giorno. 

Spiegaci meglio qual è il cuore dell’offerta. Che tipi di prodotti vendete?

Va detto che Pa de Kilo ha un’essenza particolare, ed esistono varie cose che è importante sapere per poterla comprendere.

 La prima è il tipo di ingredienti che usiamo:

Il lievito madre che usiamo per il nostro pane ha 7 anni di vita, me l’aveva portata Nuño da Madrid. Il lievito madre è un fermento vivo di cui bisogna prendersi cura per mantenerlo attivo, ed è il responsabile della lievitazione del nostro pane. Tutto questo conferisce al pane gusto e aroma, e lo fa durare nel tempo.

Noi usiamo delle farine speciali per alimentare il lievito madre. Lavoriamo con farine francesi di alta qualità. Grazie a queste farine e ai nostri metodi di lavorazione, il risultato del nostro prodotto è molto diverso dagli altri.

La seconda è la nostra offerta, che si basa su quattro prodotti principali: il filone rustico, la pagnotta pa de kilo, il pane integrale e un impasto con cui facciamo focacce e ciabatte.

 La pagnotta si chiama pa de kilo, ed è quella che dà il nome al progetto. È un pane, preparato con un mix di farine, che abbiamo scelto perché volevamo offrire una pezzatura grande, che desse la possibilità ai clienti di acquistarlo, affettarlo e conservarlo per 4-5 giorni, così da comprare il pane il martedì e mangiarlo per tutta la settimana.

Questi sono i quattro prodotti che inforniamo ogni giorno. Poi esistono vari altri prodotti speciali che facciamo solo alcuni giorni della settimana, e abbiamo un calendario in negozio che riporta tutto il pane che offriamo in base al giorno.

Abbiamo poi anche una linea di pasticceria. Avevamo iniziato con i brownie e i biscotti al cioccolato e, poco a poco, siamo cresciuti fino ad avere oggi un’offerta sia di pane sia di pasticceria.

Qual è l’idea che sta alla base di Pa de Kilo?

Abbiamo creato Pa de Kilo con l’intenzione di tornare a prenderci cura del pane e di ricordare alla gente cosa significa mangiare pane artigianale, fatto secondo la tradizione. Vogliamo che le persone tornino a comprendere appieno la sua importanza originale. Alla fine dei conti, il tipo di prodotto che vogliamo offrire punta esattamente a questo: clienti a cui il pane piace davvero e che vengono a trovarlo nel nostro negozio.

Pa de Kilo offre del pane fatto come si deve, tradizionale, senza segreti, senza usare prodotti congelati, senza additivi e conservanti. Il nostro pane non è altro che farina, acqua, lievito madre e sale, niente di più.

E come riuscite a trasmettere questa idea ai dipendenti?

L’essenza del nostro progetto ha una parte culinaria, ma anche un’altra parte, che è fatta di persone.

Veniamo da epoche in cui i panifici erano luoghi in cui si iniziava a lavorare l’una di notte, per poter sfornare il pane alle otto del mattino. Ma, quando abbiamo valutato l’idea di aprire il nostro locale, ci siamo resi conto che non era necessario dover iniziare a lavorare a questi orari.

Noi lavoriamo di giorno, dalle 6 del mattino alle 2 del pomeriggio, otto ore al giorno dal martedì al sabato. Il negozio, invece, è aperto dalle 10 del mattino alle 9 di sera. Ma tutti lavoriamo in turni di massimo 8 ore, e non facciamo turni staccati, che sono il “cancro” del settore alberghiero.

Volevamo essere consapevoli di questa cattiva usanza del settore nei confronti dei lavoratori, e volevamo cambiare le cose. Perché l’ho vissuto io in prima persona e non sono d’accordo con queste cattive abitudini.

Per questo, ognuno dei nostri dipendenti lavora al massimo 8 ore al giorno per 5 giorni, seguiti da 2 giorni di riposo. Ognuno di loro ha 30 giorni di vacanza e paghiamo tutti i festivi, oltre che gli straordinari. E in pausa pranzo, ci fermiamo per mezz’ora, prepariamo da mangiare, ci sediamo e mangiamo tutti insieme.

Questo cambiamento nel modo di lavorare fa star meglio tutti coloro che lavorano con noi. 

Qual è la vostra filosofia di lavoro?

Per noi l’atteggiamento è importantissimo. Non tanto l’atteggiamento dei singoli, ma quello che si crea all’interno della squadra. Se l’atteggiamento è positivo, i problemi verranno affrontati in maniera positiva. Chi entra nel nostro laboratorio, vedrà che hanno tutti lo stesso atteggiamento. 

E questa filosofia di lavoro da dove nasce?

La mia filosofia di lavoro nasce dalle mie varie esperienze precedenti, in luoghi in cui le cose non funzionavano così.

Il settore alberghiero e quello della ristorazione stanno andando nella giusta direzione, ma si commettono anche molti errori. È vero, Barcellona ha raggiunto livelli di cucina altissimi grazie a tutti i cuochi che ci sono e a tutto ciò che sanno fare. Ma, allo stesso tempo, non tutti sanno amministrare bene il tempo dei propri dipendenti, che finiscono per sentirsi molto amareggiati da un settore che, se da un lato offre molto, dall’altro gioca sporco. Dal mio punto di vista, tutto questo non è necessario, ed è possibile invece fare le cose in maniera diversa.

È per questo che, quando abbiamo aperto questo negozio, abbiamo deciso che le cose sarebbero state diverse. Io credo infatti che, per dare il proprio contributo in questo settore, non basta solo offrire dei buoni prodotti, ma bisogna avere anche una buona filosofia di lavoro. 

Parlaci un po’ del tuo team. Che tipi di persone cerchi e quali sono i requisiti necessari?

All’inizio eravamo in tre, tutti e tre cuochi. Solo una di noi aveva esperienza come panettiera perché suo nonno aveva un panificio in Cile.

Poi, man mano che assumevamo personale, le uniche cose importanti per noi erano un atteggiamento positivo e la voglia di lavorare. E, alla fine, ci siamo ritrovati con la metà del personale composto da cuochi che avevano deciso di imparare a fare il pane.

Ciò significa che siete disposti ad assumere dei cuochi senza alcuna esperienza nel mondo della panetteria?

Esatto, non sarebbe un problema. Questa persona, con ogni probabilità, ha la capacità di fare il pane.

Io credo che tutti coloro che lavorano nel mondo della cucina o in quello della pasticceria, della panetteria e del caffè abbiano una certa sensibilità, e che quella di ognuno sia diversa da quella degli altri.

È grazie a questa sensibilità che saranno in grado di interpretare le cose e di applicarle. Leggono una ricetta e la interpretano, e ognuno lo fa rispettando la propria sensibilità. Per questo, anche seguendo lo stesso procedimento e la stessa ricetta, il risultato finale varia, perché la sensibilità personale varia.

Ciascuna di queste persone, a parer mio, può avere la capacità di lavorare nel laboratorio di un fornaio, in una cucina, in una pasticceria o in un panificio.

E come gestite la comunicazione, che è una parte fondamentale del vostro progetto?

Abbiamo iniziato gestendola da noi, facendo le foto e raccontando ciò che facevamo, ma poi abbiamo deciso di affidarci a un team che gestisse la nostra comunicazione.

Abbiamo puntato sui social perché al momento dà buoni risultati, ma devo dire che è un 50/50. Esiste anche una parte di comunicazione fondata più sul passaparola, in cui sono i nostri clienti a consigliarci direttamente ai loro amici, perché amano i nostri prodotti e li trattiamo bene. Questo tipo di comunicazione alla fine è tanto efficace quanto l’altro è potente, perché è più facile fidarsi di quello che consigliano i propri conoscenti, piuttosto che credere a quello che si vede sui social.

Organizzate anche eventi?

Sì, io provengo dal mondo degli eventi e poi, se vuoi fare eventi e hai uno spazio in cui ti puoi permettere di farli, perché no?

All’interno del negozio abbiamo anche un corner in cui vendiamo vini naturali, burro, formaggi, olive e olio, prodotti fatti da artigiani come noi.

Ad esempio, per il primo evento che abbiamo organizzato abbiamo scelto una cantina che produce vini naturali, abbiamo accoppiato questi vini con tre tipi di pizza e quel giorno le pizze sono volate. È stato un giorno molto bello per noi, ci siamo divertiti, abbiamo bevuto del vino, abbiamo mangiato della pizza e abbiamo creato un momento di condivisione.

Ed è grazie a questi eventi coinvolgenti che siamo riusciti a integrarci ancora di più nella comunità e a farci conoscere dalla gente. Probabilmente non è una cosa molto comune nei panifici, ma a noi va molto bene.

Lavorate anche nel sociale?

Sì, collaboriamo con diversi centri di reinserimento nel mondo del lavoro e con centri di reinserimento sociale. Collaboriamo con associazioni quali Casal dels Infants de La Caixa, e con altre due istituzioni sociali che si occupano del reinserimento sociale e lavorativo.

Queste istituzioni si occupano di persone che sono escluse dal mondo del lavoro o dalla comunità sociale per vari problemi, e noi diamo loro la possibilità di venire nel nostro laboratorio e imparare il mestiere, facendo pratica con noi per aiutarli, più avanti, a poter avere delle opportunità di lavoro.

Collaboriamo anche con centri di raccolta di alimenti. Tutto il pane che non viene venduto alla fine del giorno lo portiamo ai centri di raccolta di alimenti del nostro quartiere, Raval. Ogni giorno, alle 9 di sera, chiamiamo due diversi centri di raccolta di alimenti e li avvisiamo che possono venire a raccogliere tutto il pane che ci è rimasto invenduto della giornata.

Credo che se tutti noi facessimo la nostra parte, a trarne beneficio sarebbero non solo altre persone, ma anche l’ambiente.

Cosa ci aspetta nei prossimi episodi di Visions?

Visions è la serie con cui ti portiamo a scoprire i progetti più visionari del mondo. In ogni tappa ne scopriremo il DNA, il segreto del successo e perché sono luoghi affascinanti in cui lavorare.

Per non perderti le prossime interviste, segui il nostro profilo Instagram, in cui troverai tutte le informazioni necessarie per conoscere nuovi punti di vista e avvicinarti ai concetti creativi più appassionanti del settore turistico e alberghiero.

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